There is an unusual relationship between the Venetian composer Antonio Vivaldi and the city of Turin: in his lifetime, he scarcely had contacts with the fledgling capital of the Kingdom of Savoy, but fate inextricably linked the red priest to this city, now custodian of 90% of his manuscripts in the local university library.

Debuted successfully in 1717 at Sant'Angelo Theatre in Venice, The Coronation of Darius did not remain in the repertoire, as was usual in those days for an ever-curious audience and after Vivaldi's death, like all his works, it fell into a centuries-long oblivion. A single performance took place in Siena in 1978 to celebrate the composer's birth after three hundred years.

As always in the librettos of the time, the historical events are just a weak excuse to stage timeless stories of jealousy, struggle for power, sexual desire – the ingredients in today's television series. Adriano Morselli's libretto is no exception and in the theatrical fiction we see King Cyrus in the first scene appear in a dream to his two daughters, to comfort their pain for his death – even if the two women already seem distracted by new events. In fact, as many as three suitors aspire to the hand of the eldest, Statira; some for true love, others driven by lust for power. But the big issue is Statira's brainpower: "mentally defective", as she is defined by the librettist, she not only knows nothing of matrimonial duties and pleasures, but nor can she choose among her suitors, so much so that at one point she naively offers her hand to all three! As much as Statira is dull, the younger Argene is as shrewd, ambitious to the point of cruelty in wanting to get rid of her sister in order to ascend to the throne. Suitor number one, Prince Darius, isn't exactly a genius either, but it is he who eventually succeeds in marrying Statira.

Mingling comedy and tragedy, The Coronation of Darius has a quick pace and is studded with excellent musical numbers where Vivaldi's mastery as an orchestrator proves the best. The virtuosic arias are always accompanied by richly assorted instrumentation, such as the bassoon in Niceno's aria "Non lusinghi il core amante", or the violin and cello or the flute "fluttering" in the ornithological arias: Satira's "Sentirò fra ramo e ramo" or Alinda's "Io son quell'augelletto". And that's not to mention the two cadenzas for bass viol framing Statira's aria "L'adorar beltà che piace", cadenzas expressly provided by the composer, who personally played them at the Sant'Angelo.

Ottavio Dantone's skilful conducting brings the best out of this orchestral enchantment. He also plays the harpsichord and improvises when neeeded. In spite of the imperfect acoustics of the auditorium, he and the theatre orchestra manage the magical atmosphere with which he has recorded the work on CD.

Among the performers there is a profusion of female voices. Sara Mingardo brings her classy voice and remarkable stage presence to the role of the naive Statira. Delphine Galou is the sister Argene: bright tone and excellent agility combine with perfect diction. Roberta Mameli's crystal clear notes make of the role of Alinda a masterpiece of expressivity, highly appreciated by the audience. Oronte's interpreter, originally the castrato Carlo Cristini, here is a mezzo in trousers, obviously (it is hard for a countertenor to appear on an Italian stage...). Anyway, Lucia Cirillo's performance is flawless.

Given the scarcity of Italian tenors suited to this repertoire (on CD, it was sung by the Swede Anders Dahlin), the choice for the title role has fallen on the experienced Carlo Allemano. Though emphatic as usual, on this occasion, he is well suited to a character from whom we do not expect great things.

Leo Muscato's direction aims at Italian commedia dell'arte, whose characters are free from deep psychological implications and whose acts are driven by primary motivations, leading to hilarious effects. Muscato not only uses the characters and stories for humorous purposes, but the same musical form too, making fun of the eighteenth-century aria structure with its repetitions when Niceno and Flora try to ward off Statira, but every time she comes back to sing "da capo".

Sets and costumes were designed by the local Academy of Fine Arts. Its students did an excellent job: consonant with the director's idea, they built a present-day environment, the Middle East with its oil wells (the real wealth of the region) and the luxuriously kitsch of the new dictators' homes. But there is no ideological message in their choice and the scaffolds that frame the scene do not have the political impact they had in the past with Peter Sellars' or Caurier & Leiser's Handel. The audience was not bothered.

 

L'incoronazione di Dario: un inedito Vivaldi “comico” per la prima volta in scena a Torino

Insolito rapporto quello tra Antonio Vivaldi e la città di Torino: il compositore veneziano non ha mai avuto in vita molti contatti con l'allora neonata capitale del Regno di Savoia, ma è il caso che ha legato indissolubilmente il destino del prete rosso a questa città, la quale si trova a custodire il 90% dei suoi manoscritti nella locale Biblioteca Universitaria.

Rappresentata con successo il 23 gennaio 1717 al teatro Sant'Angelo di Venezia, L'incoronazione di Dario non rimase in repertorio, com'era allora comune per un pubblico sempre curioso di novità e, come tutti i lavori di Vivaldi, dopo la sua morte cadde in un oblio plurisecolare. Un'unica ripresa si ebbe a Siena nel 1978 a trecento anni dalla nascita del compositore.

Come sempre nei libretti dell'epoca, la vicenda storica è solo un labile pretesto per mettere in scena storie sempre attuali: gelosie, lotte di potere, passioni più o meno lecite – gli ingredienti delle tante serie televisive di oggi. Non fa eccezione il testo del librettista Adriano Morselli, e nella finzione teatrale noi vediamo Ciro nella prima scena comparire in sogno alle due figlie a consolarne il dolore per la sua morte, anche se le due donne sembrano già totalmente distratte dai nuovi eventi. Ben tre pretendenti aspirano infatti alla mano della maggiore, Statira, chi per vero amore, chi per brama di potere. Ma il problema è che Statira non è proprio un'aquila di intelligenza, “difettosa di mente” la definisce il librettista, e non solo non sa nulla di doveri e piaceri matrimoniali, ma neppure sa decidersi alla scelta, tanto che a un certo punto offrirà ingenuamente la sua mano a tutti e tre! Tanto la maggiore è “stolida”, quanto la seconda, Argene, è scaltra e ambiziosa fino alla crudeltà nel voler eliminare la sorella e ascendere lei al trono. Comunque, neppure troppo sveglio è il pretendente numero uno, il principe Dario, ma sarà lui a impalmare Statira alla fine.

Commistione di comico e di tragico, L'incoronazione di Dario ha un ritmo drammaturgico sostenuto e costellato di numeri musicali di eccellente qualità in cui la maestria del Vivaldi orchestratore si dimostra al meglio. Le arie virtuosistiche sono sempre accompagnate da uno strumentale riccamente assortito: il fagotto nell'aria di Niceno «Non lusinghi il core amante», il violino e violoncello o il flauto “svolazzanti” nelle arie ornitologiche di Statira «Sentirò fra ramo e ramo» e di Alinda «Io son quell'augelletto», per non dire delle due stupefacenti cadenze per viola da gamba che incorniciano l'aria di Statira «L'adorar beltà che piace», cadenze espressamente previste dall'autore che le eseguì personalmente al teatro Sant'Angelo.

Questo incanto orchestrale è reso a meraviglia dalla sapiente concertazione di Ottavio Dantone, che improvvisa anche al clavicembalo, e con gli elementi dell'orchestra del Regio riesce a ricreare, nonostante l'acustica non ottimale della sala, l'atmosfera incantata con cui ha registrato l'opera su CD.

Gran profusione di voci femminili tra gli interpreti. Sara Mingardo presta la sua calda voce al ruolo della svampita Statira con una presenza scenica e vocale di gran classe. Delphine Galou è la sorella Argene: timbro luminoso e agilità eccellenti si accompagnano a una dizione perfetta. Le limpide note di Roberta Mameli fanno del ruolo di Alinda un capolavoro di espressività molto apprezzato dal pubblico. L'interprete di Oronte, in origine il castrato Carlo Cristini, è qui ovviamente un mezzosoprano en travesti – difficilmente un controtenore calca una scena italiana... – reso comunque in modo magistrale da Lucia Cirillo.

Nella parte titolare, data la penuria di tenori italiani adatti a questo repertorio (su CD c'era infatti lo svedese Anders Dahlin), si rimedia con l'esperto Carlo Allemano che, stentoreo come il solito, si adatta questa volta meglio al personaggio da cui non ci si aspettano grandi cose dal punto di vista vocale o interpretativo. 

La regia di Leo Muscato rispecchia l'inventiva e l'intelligenza delle sue tante messe in scene sia nei teatri di prosa sia in quelli lirici. La chiave di lettura di quest'opera barocca è il suo legame con la commedia dell'arte i cui personaggi sono scevri da profonde implicazioni psicologiche o anche solo logiche e agiscono spinti da pulsioni primarie. La cura attoriale del regista porta a risultati che non è peregrino definire esilaranti. Muscato utilizza a fini umoristici non solo i caratteri e le storie, ma anche la stessa forma musicale, mettendo in burla la struttura dell'aria settecentesca con le sue ripetizioni come quando Niceno e Flora cercano di allontanare Statira, ma lei ogni volta ritorna indietro per cantare i ritornelli e i da capo.

Per l'aspetto visivo il teatro ha dato l'incarico agli allievi della locale Accademia Albertina di Belle Arti di ideare scenografie e costumi. I giovani hanno fatto un lavoro eccellente e coerentemente con il regista hanno costruito un ambiente attualizzato: il medio oriente d'oggi con i suoi pozzi petroliferi, vera ricchezza della regione, e gli interni lussuosamente kitsch dei nuovi dittatori. Non c'è però nessun messaggio ideologico nella loro scelta e i tubi che incorniciano la scena non hanno l'impatto politico che avevano nelle regie händeliane di Peter Sellars o di Leiser & Caurier. Il pubblico non è stato scandalizzato.

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