Una casa di bambole

"La sonnambula" di Bellini al Verdi di Trieste

Recensione
classica
Teatro Verdi Trieste
Vincenzo Bellini
13 Maggio 2017
Malgrado le dichiarate intenzioni, è davvero esile questa “Sonnambula” firmata da Giorgio Barberio Corsetti per il Petruzzelli qualche stagione fa e ora ripresa a Trieste. Nessuno sfoggio tecnologico come negli spettacoli più iconici del regista (vedasi “la pietra di paragone” o, da buon ultimo, “La belle Helène” del parigino Châtélet) ma gran movimento di mobilio in scala ingigantita come se sulla scena si proiettasse la casa delle bambole dell’innocente Amina, così infantile nell’articolazione del suo alfabeto emotivo. Sopra un lettone Elvino pronuncia l’impegno a maritarsi con lei, lei sonnemboleggia da un cassetto all’altro del grosso comò prima e in cima all’enorme tavolino nel finale e la rivale Lisa celebra il suo fugace trionfo su una poltrona gigante. Pur non mancando qualche bell’immagine di estro poetico, il resto era davvero il consueto concerto in costume all’antica italiana, in cui i soli movimenti visibili erano quelli del mobilio, appunto, e dei fiori sventolati a più riprese dal coro festante. Ma, in fondo, quel che conta in Bellini è il (bel)canto e quindi il togliere ogni ostacolo al cantare è già un gran pregio. Già “pièce de résistance” di una lunga schiatta di interpreti eccellenti inaugurata da Giuditta Pasta (e anche Trieste, come informa preciso il programma, vanta una linea di tutto rispetto con la Tadolini, la Vittadini, la Strepponi, e più di recente la Carosio, la Scotto fino alla Serra e la Mei per citarne solo alcune), Amina era la polacca Aleksandra Kubas-Kruk: acuto facile, voce agile ma peso leggero soprattutto nella grande scena del finale condotta con diligenza ma senza il graffio della primadonna. Comunque adatta alla commediola sentimentale cucitale addosso da Barberio Corsetti. Anche più fragile l’Elvino di Bogdan Mihai, che esibiva un fraseggio elegante che però fuori dal centro tendeva a suonare forzato. Olga Dyadiv tratteggiava una Lisa risoluta nel disegno del personaggio e nella grinta ma con una vocina davvero piccina e gli acuti che sembravano punture di spillo. Filippo Polinelli era un conte Rodolfo generoso e nobile, ma abbandonato a se stesso da una regia distratta. Completavano il cast i volenterosi Namiko Kishi (Teresa) e Marc Pujol (Alessio). Bene il coro del teatro. Quello fornito da Guillermo García Calvo alla guida dell’Orchestra del Verdi era soprattutto un accompagnamento diligente ma privo di guizzi. Tradotto: di questo Bellini si sa già tutto. Parecchi vuoti in sala per l’ultima pomeridana in cartellone ma applausi generosi.

Note: Allestimento della Fondazione Lirico Sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari. Date rappresentazioni: 5, 6, 7, 9, 11, 13 maggio 2017.

Interpreti: Filippo Polinelli (Il conte Rodolfo, signore del villaggio), Aleksandra Kubas-Kruk (Amina, sua figlia adottiva), Bogdan Mihai (Elvino, ricco possidente del villaggio), Olga Dyadiv (Lisa, ostessa innamorata di Elvino), Marc Pujol (Alessio, contadino innamorato di Lisa), Namiko Kishi (Teresa, mugnaia), Motoharu Takei (Un notaio)

Regia: Giorgio Barberio Corsetti (ass. Fabio Cherstich)

Scene: Cristian Taraborrelli

Costumi: Cristian Taraborrelli

Orchestra: Orchestra della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste

Direttore: Guillermo García Calvo

Coro: Coro della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste

Maestro Coro: Francesca Tosi

Luci: Marco Giusti

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