L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Lucrezia Drei e Alessandro Abis nel Viaggio a Reims

La via smarrita

 di Silvia Campana

La realizzazione in stile cartoon, già sperimentata con esiti migliori nel Barbiere di Siviglia, a cura di Pier Francesco Maestrini e Joshua Held delude le aspettative mancando il bersaglio della poetica particolarissima del Viaggio a Reims: al nonsense dell'opera rossiniana si sovrappongono comicità grossolana e allusioni scontate. Più convincente, nel complesso, il cast di giovani voci rossiniane, nella quasi totalità già rodate nei rispettivi ruoli.

VERONA, 25 maggio 2017 - Si presentava come un'occasione persa la nuova edizione del Viaggio a Reims di Rossini prodotta dalla Fondazione Arena di Verona in chiusura della Stagione lirica 2016/2017 al Teatro Filarmonico. Se è vero infatti che 'squadra che vince non si cambia' dovrebbe essere altrettanto sacrosanto che prima di fischiare l'inizio dell'incontro si controllino sempre tutti i giocatori e non si diano per scontate troppe soluzioni. In questo particolare caso l'ottimo esito del Barbiere di Siviglia, presentato due anni fa [leggi la recensione], faceva giustamente presagire un'operazione altrettanto fresca, arguta e frizzante, specie a contatto con una partitura effervescente che trova, in un intreccio sostanzialmente inesistente, quell'evanescente levità che in palcoscenico dovrebbe essere viva e palpabile.

Il testo del libretto di Luigi Balocchi diviene, infatti, mero pretesto per arditi e aerei scontri timbrici e d'accento e la parola diventa gioco, perdendo spesso la sua stessa profondità espressiva: giocare dunque proprio su questa, rendendola di fatto protagonista della linea registico-narrativa, poteva rivelarsi come un pericoloso passo falso.

Le divertentissime e ricercate animazioni di Joshua Held, sapientemente coadiuvate dalla regia di Pier Francesco Maestrini, venivano in questo senso a sovrapporsi, allora, a un testo che consiste e trova la sua forza nel nonsense dandone una lettura didascalica risolta in una serie di 'gag' che nulla avevano da spartire con la sottile arguzia e ironia del pesarese. La pièce era, invece, interpretata in una chiave umoristica che banalizzava troppo spesso le situazioni, portando a una comicità sostanzialmente grossolana e ricca di allusioni scontate che, onestamente, lasciavano perplessi e che erano state completamente assenti nel precedente Barbiere, nel quale il tratto grafico ed il cartoon era stato usato per interagire e non 'coprire' la partitura.

Sostanzialmente bene il giovane, ma in massima parte già rodato in quel di Pesaro, cast impegnato in palcoscenico.

Francesca Sassu nel ruolo di Madama Cortese esibiva una vocalità interessante e sostanzialmente corretta nelle agilità così come Marina Monzó quale Contessa di Folleville, che univa giusta vocalità a una recitazione brillante. Il tenore Xabier Anduaga brillava per timbro squillante e sicurezza nella tessitura acuta nel ruolo del Cavalier Belfiore e ben si distinguevano per corretta professionalità Giovanni Romeo quale Trombonok e Marko Mimica come Lord Sidney, così come Raffaella Lupinacci nel ruolo di Melibea. Ottima sotto ogni profilo la Corinna delineata da Lucrezia Drei, in cui sospiro e accento si accompagnavano mirabilmente.

Non perfettamente centrati invece il Don Profondo di Alessandro Abis e il Conte di Libenskof del tenore Pietro Adaini.

Completavano il cast Alessio Verna (Don Alvaro), Alice Marini (Maddalena/Modestina), Stefano Pisani (Don Luigino/Zefirino), Omar Kamata (Don Prudenzio), Francesca Micarelli (Delia) e Stefano Marchisio (Antonio).

Sostanzialmente a posto il Coro (pur "soffocato" dentro costumi e maschere di non così felice ideazione) diretto dal M° Vito Lombardi .

Pur attentamente calibrata e misurata negli intenti, la direzione del m° Francesco Ommassini non convinceva pienamente, a causa di una lettura della partitura che soffriva non tanto per un rallentamento dei tempi, che nulla toglie alla brillantezza e ricchezza cromatica, quanto piuttosto per un appiattimento nella lettura dinamica che privava gli accenti della giusta pregnanza teatrale, fondamentale proprio in questo particolarissimo lavoro rossiniano.

Teatro gremito e applausi per tutti gli interpreti e il direttore.

 

foto ENNEVI


 

 

 
 
 

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