Gazzetta di Modena

Stagione lirica di Modena, debutto illuminato da un sole nero

di Massimo Carpegna
Una scena da Il colore del sole
Una scena da Il colore del sole

La stagione lirica di Modena si è aperta al Comunale Pavarotti con "Il colore del sole", un'opera tratta dall'omonimo romanzo di Andrea Camilleri

03 novembre 2017
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MODENA. Un Sole nero ha illuminato l’apertura della Stagione Lirica del Teatro Pavarotti e come tale ha posto in luce alcuni aspetti e posto in ombra altri, in un’oscurità caravaggesca. Tratta dall’omonimo romanzo di Camilleri, l’opera in un atto di Lucio Gregoretti su drammaturgia di Vincenzo De Vivo, ricostruisce il periodo in cui l’artista tentò di fuggire la decapitazione in seguito all’omicidio di Ranuccio Tommasoni. Camilleri, utilizzando l’espediente di un diario del pittore ritrovato in circostanze oscure, colma la mancanza di notizie storiche attraverso un’invenzione accettabile.

L’opera è un racconto in prima persona nel quale Michelangelo Merisi descrive l’incontro con Celestina, prostituta napoletana, che possiede un unguento in grado di curare una sorta di fotofobia di cui l’artista soffre. Tuttavia, il farmaco misterioso deforma la luce del Sole, che ora appare nero, in una continua eclissi totale. Da qui iniziano le peregrinazioni dell’artista che raggiunge Malta, Agrigento, Siracusa e Palermo, luoghi nei quali dipinge sotto l’effetto di questa visione deformata della realtà e in preda a ricordi e allucinazioni.

Ecco dunque come Camilleri spiega quella luce particolare nei dipinti ed è lo stesso romanziere ad aprire lo spettacolo con la proiezione di un’intervista realizzata da Ugo Gregoretti che, pur se godibilissima, m’è parsa troppo lunga per un contesto che non era quello televisivo ma lirico e di un atto solo. Qual è la genesi de “Il colore del Sole”, che definirei più un monologo con musiche di scena e contributi multimediali che opera lirica? L’Autore c’informa che da alcuni anni desiderava raccontare una storia che contemplasse la musica cinquecentesca e barocca e, in effetti, Lucio Gregoretti ha dimostrato una certa maestria nel trattare la vocalità, specie nel passaggio tra gli imitativi madrigali seicenteschi, nei quali riecheggia Monteverdi, e le composizioni d’ispirazione moderna/contemporanea ben costruite e orchestrate.

A quanto pare, e nonostante l’impegno insistente a zittirla da Schönberg in poi, la tonalità riemerge sempre ed oggi più che mai, in questo segmento della storia nel quale i compositori hanno scelto d’essere liberi di giocare con tutti i materiali sonori. Lucio Gregoretti è sicuramente un artista che nelle sue creazioni sa unire diversi saperi musicali e opportunità multimediali. Ma la scelta d’assegnare ad un monologo accompagnato dalla musica il ruolo principale dell’opera m’è sembrata azzardata, seppur comprensibile. Il testo è tratto da un romanzo che si rivolge ad un lettore e non al pubblico di un teatro ed il monologo, proprio per l’assenza di dialogo che sempre vivacizza l’azione, ha necessità d’altri guizzi nelle parole e di conseguenza nella recitazione, d’occasioni inventive per il regista, se non vuole appesantire troppo l’intera struttura e scivolare nel tedio.

La messa in scena ha comunque reso sufficientemente bene l’atmosfera dei ricordi di Caravaggio: dolorosi, quando parla del Sole nero, e sensuali, arricchiti dalle videoproiezioni in slow motion di Fabio Massimo Iaquone, anche se ho trovato eccessivamente lunga la sequenza erotica di gruppo e inaspettata l’opzione di coprire le pudenda con slip improbabili. Corretti i costumi d’epoca di Angela Buscemi e di valore l’intero cast vocale, preciso nei contrappunti ed espressivo negli interventi solistici a partire da Lena di Cristina Neri, da Celestina di Anastasia Pirogova, da Il giovane di piacere di Daniele Adriani, da il Padre Superiore di Renzo Ran e da Aloysio di Claudia Nicole Calabrese.

A completare la compagnia di canto, Natsuko Kita, Jaime Canto Navarro e Carlo Feola. Il plauso personale all’attore Massimo Odierna/Michelangelo Merisi, dalla memoria formidabile e credibile nell’interpretare Caravaggio con un italiano seicentesco a volte retorico e a volte da taverna. Gabriele Bonolis ha diretto con accuratezza e precisione nel gesto l’Ensemble da Camera davanti a un pubblico numeroso, che ha applaudito lungamente l’intero cast e l’Autore.