Dieci minuti ininterrotti di applausi e qualche isolato diniego da parte di un pubblico in grande maggioranza entusiasta hanno salutato alla Scala Andrea Chénier, l’opera di Umberto Giordano su libretto di Luigi Illica, capolavoro del verismo italiano che ha inaugurato questa sera la stagione del teatro lirico milanese, con la direzione di Riccardo Chailly e la regia di Mario Martone.

Una serata speciale come tutti i 7 dicembre scaligeri, senza le alte cariche dello Stato, ma con la presenza di alcuni membri del governo, come i ministri dei Beni culturali, Dario Franceschini, dell’Economia Pier Carlo Padoan e della Coesione territoriale Claudio De Vincenti, la sottosegretaria Maria Elena Boschi. E poi il commissario europeo alla Cultura Tibor Navracsics e altri, oltre ai sovrintendenti dei teatri di Vienna e di Lucerna e stilisti, attori, esponenti del jet set milanese e internazionale.

Alla chiusura del sipario, generale è stato il consenso, con calorosi battimani, grida di «bravi!», lanci di fiori e di coriandoli dorati dal loggione. Gli applausi hanno accomunato tutti gli interpreti, ma sono stati più intensi per Anna Netrebko (Maddalena), ormai beniamina del pubblico scaligero avendo riscosso grandi consensi in altre due prime inaugurali: nel Don Giovanni del 2011 e nella Giovanna d’Arco del 2015. Lei veterana, ha duettato col marito debuttante alla Scala, Yusif Eyvazov, apprezzato Chénier. Ai consensi per entrambi è stato accomunato l’altro protagonista Luca Salsi nel ruolo di Gérard.

Ma l’ovazione è stata per Chailly che non ha lasciato spazio ai tradizionali applausi dopo le sei romanze in omaggio al volere di Giordano e al «suo ritmo serrato del tempo teatrale, quasi fosse una sceneggiatura cinematografica». E sono stati applauditi anche il regista Martone e gli autori di scene Margherita Palli, costumi Ursula Patzak, luci Pasquale Mari e coreografia Daniela Schiavone oltre agli altri componenti la compagnia di canto.

È evidente che, al di là della direzione d’orchestra e delle voci, è piaciuta la regia, fedele alla rappresentazione di una vicenda di amore e morte inserita in un contesto storico preciso: la Rivoluzione Francese. Martone ne ha magistralmente affrescato i contrasti: l’ancien regime e la rivoluzione, l’amore e la gelosia, il giusto riscatto della libertà e i crimini commessi in suo nome. Sono tensioni che il regista ha messo in scena, ma senza mai perdere lo slancio vitale dell’opera.

E se Chailly ha voluto esaltare la continuità e il senso ritmico della musica di Giordano, Martone lo ha assecondato ricorrendo a un impianto girevole per evitare le tradizionali pause per i cambi di scena. I quattro quadri che compongono l’opera si succedono così l’uno all’altro con la sola soluzione di continuità dell’intervallo fra il secondo e il terzo. La regia “dei contrasti” appare subito, con la scena della festa nel Castello di Coigny, nel 1789, tra stucchi dorati, specchi, mobili Luigi XV, con i rappresentanti della nobiltà immobili come statue di cera in un museo, quasi fosse il diorama di un’epoca passata, morta. Solo servi e lacché sono persone viventi, quelli che faranno il futuro della storia. La nobiltà si anima per danzare (una gavotta), come i passeggeri del Titanic pochi minuti prima del naufragio. È qui che il poeta Chénier incanta con i suoi versi sull’amore la giovane Maddalena, ed è qui che il servo Gérard, segretamente innamorato della ragazza, getta sprezzante la livrea e abbandona il castello denunciando l’ arroganza dei signori e l’ingiustizia sociale.

Ma la ruota della vita gira, insieme alla scena sul palcoscenico: passano 5 anni e a Parigi impera il Terrore. La scena ricorda il Pont Neuf, con i suoi mascheroni e le botteghe parigine, fra Tricolori e berretti frigi. Gérard, che è uno dei capi della Rivoluzione, ritrova Maddalena, ridotta in povertà e affronta Chénier che la protegge.

Con lei è determinato e violento, ma la reazione della giovane, che ricorda le proprie vicissitudini («la mamma morta...») e lo respinge con dignità lo fa riflettere - ancora la regia dei “contrasti” - sui crimini che spesso accompagnano l’anelito di libertà delle rivoluzioni. La scena gira ancora, e compare il tribunale, con la sua folla «curiosa e avida di lacrime», dove Gérard tenta fino all’ultimo, senza riuscirvi, di salvare il poeta rivale. E l’ultimo giro è riservato alla fine del dramma, con Maddalena che decide di morire con Andrea. Con lui sale sulla carretta. Sullo sfondo la sagoma inquietante della ghigliottina.

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