L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Essere Rigoletto

 di Antonino Trotta

Grande successo al Teatro Carlo Felice di Genova con Rigoletto di Giuseppe Verdi con l’intrarmontabile Leo Nucci nei panni del buffone. Buone le prove di Maria Mudryak e Antonio Gandia. Uno spettacolo tradizionale e godibile che incontra le esigenze di melomani e neofiti dell’opera.

Genova, 10 Dicembre 2017 – Bisogna ammetterlo, riempire completamente un teatro di 2000 posti in una fredda e piovosa domenica di dicembre è una sfida anche per gli enti lirici più prestigiosi. Due sono le strategie per affrontare tale impresa: rischiare o giocare senza rischi. Il Teatro Carlo Felice di Genova sceglie la seconda strada e propone in cartellone, dopo il musical West Side Story di Bernstein, il Rigoletto, la prima opera della cosiddetta “trilogia popolare” di Giuseppe Verdi, in un nuovo allestimento (da quanto riportato sul sito web) che ricorda molto quello del 2013.

E proprio come nel 2013, la regia è stata affidata a Rolando Panerai, baritono e Rigoletto storico, che confeziona uno spettacolo sobrio e fedele alla tradizione. Gli artisti cantano in proscenio nei momenti salienti, non sono richieste abilità circensi agli interpreti, lo scorrere della narrazione è fluido e privo di stalli. Le scenografie sono sufficientemente curate e non mancano gli elementi richiesti da libretto. Adeguati i costumi di Regina Schrecker, anch’essi fedeli alla tradizione. Efficace l’apertura dell’opera pensata da Panerai: Rigoletto è adagiato per terra, privo degli abiti da buffone, illuminato da un cono di luce, una specie di istantanea che immortala la sofferenza del protagonista. Poi arrivano i cortigiani, lo vestono e lo scherniscono. Quest’immagine, che si consuma nell’arco del preludio, proietta immediatamente il pubblico in sala nella dimensione psicologica del personaggio verdiano che sarà da lì in poi dipanata nel resto dell’opera.

Francesco Ivan Ciampa, sul podio, offre una letturaaltalenante dell’opera verdiana. L’orchestra, infatti, non mostra la massima compattezza e spesso sembra che alcuni strumenti (ottoni principalmente) vadano per conto proprio. Inoltre, specialmente nei momenti di maggior pathos, la lettura assume un carattere estremamente marziale. Non mancano, però, spunti di interessante intenzione interpretativa. Belle le sfumature avvertite nell’ostinato orchestrale di «Cortigiani, vil razza dannata», dove improvvisi salti dal forte al piano acuiscono la tensione del momento.

Rigoletto di fama e di fatto, Leo Nucci offre ancora una volta una prova magistrale nei panni dell’acre giullare, riscuotendo diverse standing ovation durante la recita. La voce del settantacinquenne baritono appare ancora perfettamente forgiata, soprattutto nella zona alta, dove gli acuti sono granitici e incisivi. Poco importa se gli anni hanno superficialmente scalfito la tessitura più bassa. La grandezza di Nucci risiede specialmente nel magnetismo con cui viene data vita al personaggio: il suo Rigoletto è ricco di sfaccettature che si manifestano tanto nella linea di canto, con una grande varietà di accenti e sfumature dinamiche, quanto nella recitazione, dove la valorizzazione della parola scenica diventa la principale porta d’accesso all’universo tormentato e vorticoso del personaggio verdiano. Impossibile non empatizzare con il protagonista, che catalizza lo svolgimento dell’intera azione teatrale. Nell’incondizionato amore per la figlia, nel maniacale desiderio di proteggere l’«impagabil tesor», nel contrasto tra furore e sottomissione che divampa al secondo atto (eccezionale il modo in cui  si rivolge disperato a Marullo), il Rigoletto di Leo Nucci acquista un veridicità assoluta che trascina il pubblico in un vero turbine emotivo. Di rito, il bis di «Si, vendetta, tremenda vendetta» manda in delirio la platea che tributa a Nucci una strameritata ovazione.

Ottima la prova della giovanissima Maria Mudryak nei panni di Gilda, che dipinge scenicamente in maniera ingenua e appassionata. Il soprano kazako ha uno voce potente, dalle venature drammatiche, e sebbene il colore possa sembrare in alcuni momenti aspro, vocalmente aiuta a plasmare una Gilda donna e non una specie di Olympia verdiana (come spesso accade quando il ruolo è affrontato da soprani puramente leggeri). La linea di canto della Mudryak è pulita, sicura negli acuti dei duetti con il Duca e Rigoletto, ben tornita dal punto di vista dinamico, con abbellimenti ben sgranati. Si percepisce, tuttavia, una precarietà dell’intonazione nella tessitura acuta in piano o mezza voce.

Defilato il Duca di Antonio Gandia. Il tenore spagnolo affronta la parte con sicurezza, forte del buono squillo in acuto, ma la voce non è grande e nel complesso il personaggio appare piatto e privo di nuance. Anche la resa drammaturgica non è accattivante: manca di arroganza e spavalderia e nelle movenze ricorda più il nobile Riccardo di Un ballo in maschera che una figura edonistica alla Dorian Gray quale il Duca di Mantova dovrebbe essere.

Nonostante la brevità della parte, si riesce ad apprezzare appieno il bel timbro contraltile di Anastasia Boldyreva (Maddalena). Il mezzosoprano russo sfoggia una bella voce calda e brunita, di ottimo volume, che riesce ad emergere anche nel famoso quartetto. Inoltre la cantante è dotata di una spiccata sensualità che ben si presta al sinuoso personaggio. Buona anche la prova di Dario Russo, Sparafucile arcigno e incisivo.

Non sempre precisi, specie nelle prime scene, gli interventi del coro del Teatro Carlo Felice. Abbastanza buone le prove del resto dei comprimari: Anna Venturi (Giovanna), Stefano Rinaldi Miliani (Conte di Monterone, voce molto piccola), Claudio Ottino (Marullo), Aldo Orsolini (Borsa), Giuseppe de Luca (Conte di Ceprano), Alla Gorobchenko (Contessa di Ceprano), Alessio Bianchini (Usciere di corte), Annarita Cecchini (Paggio).

foto Marcello Orselli


 

 

 
 
 

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