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PURITANI (I) - regia Pierluigi Pier'Alli

"I Puritani", regia Pierluigi Pier'Alli. Foto Rosellina Garbo "I Puritani", regia Pierluigi Pier'Alli. Foto Rosellina Garbo

Opera in tre atti
Musica di Vincenzo Bellini

Libretto di Carlo Pepoli

Edizione critica della partitura a cura di Fabrizio Della Seta
Direttore Jader Bignamini

Regia, scene e costumi Pierluigi Pier'Alli

Regia ripresa da Alberto Cavallotti

Luci Bruno Ciulli

Gualtiero Valton Roberto Lorenzi
Giorgio Valton Nicola Ulivieri (13, 15, 17, 19) Ugo Guagliardo (14, 18)
Elvira Laura Giordano (13, 15) Ruth Iniesta (14, 18) Jessica Pratt (17, 19)
Riccardo Julian Kim (13, 15, 17, 19) Giorgio Caoduro (14, 18)
Arturo Talbo Celso Albelo (13, 15, 17, 19) Shalva Mukeria (14, 18)
Enrichetta Anna Pennisi

Bruno Antonello Ceron

Orchestra e Coro del Teatro Massimo

Allestimento del Teatro Massimo in coproduzione con il Teatro Comunale di Bologna e il Teatro Lirico di Cagliari

Palermo, Teatro Massimo dal 13 al 19 aprile 2018

www.Sipario.it, 20 aprile 2018

Di questi tempi a Palermo si respira un'aria "diversa" dal solito. La città sembra essersi risvegliata e, stiracchiando le nobili, regali membra, sembra ricordare, anche a se stessa, fasti ormai perduti. Il capoluogo siciliano, Capitale italiana della Cultura 2018, ritorna in sé e il Teatro Massimo, entità profondamente radicata nel territorio, ma sofferente come tutte, indistintamente, le entità poli d'arte e di cultura in Italia, rialza la testa e mette in scena un'edizione memorabile de I Puritani di Vincenzo Bellini. Così, mentre, purtroppo, il teatro a lui intitolato nella città natale boccheggia e rischia la chiusura sperando in un miracolo, il Cigno va in trasferta a Palermo che ne fa, ovviamente, un fiore all'occhiello di quella Sicilia che andrebbe presa per intero in palmo di mano e portata ai vertici della vita culturale italiana.

In attesa di tale complessivo intervento miracoloso, ci si accontenta, dunque, di un evento più contenuto ma non meno significativo, con un'opera che una belliniana accanita come chi scrive, catanese ed esigente quanto mai, attendeva al varco.
Dopo il forfait dato dalla bella ed attesissima Nadine Sierra ed un alternarsi annunciato di ben tre soprani, era d'uopo beccare la recita "giusta", che si è ritenuto essere quella del 17 aprile 2018, che ha preceduto quella trionfale di chiusura del 19 aprile, con il medesimo cast, tra ovazioni e pioggia di fiori.

Il 17 aprile, l'algidetto e un po' disinformato pubblico palermitano del turno C non aveva piena consapevolezza, probabilmente, di avere davanti una primadonna di tutto rispetto, per la prima volta a Palermo. La britannica naturalizzata australiana Jessica Pratt è stata capace di fiondarsi da New York, dopo due recite di Lucia di Lammermoor al Met, arrivare a Palermo il 16 aprile, ovvero la sera prima della recita, provare per modo di dire e scaraventarsi in scena senza rete l'indomani pomeriggio. Professionalità ai massimi livelli: si è andata ambientando in corso di recita ed ha saputo delineare un personaggio Elvira credibile, aggraziato nelle movenze e soprattutto vocalmente delizioso, creando un "merletto" di corretta emissione, facilità nella zona acuta, misura e gran tecnica di bel canto che evocava antichi splendori e filati d'oltreoceano delle sue parti, ma con una marcia in più di modernità e tanta capacità di autocontrollo emozionale e vocale da creare brividi in sala. Favorita all'ascolto dell'appassionato dalle cadenze dell'edizione critica priva di tagli a cura di Fabrizio Della Seta, la Pratt ha emesso sovracuti e snocciolato agilità e abbellimenti, in un'opera che, così eseguita, nel complesso è durata oltre tre ore: si pensi quindi a quanti tagli aperti di cui tener conto. Chapeau.

La messa in scena anche di duetti raramente eseguiti, inoltre, e la bellezza, conseguenziale a tutto il resto, dei concertati hanno creato un'atmosfera che ha rapito lo spettatore. E mentre la Pratt ricamava abilmente col filato dell'arte, al suo fianco brillava l'Arturo di Celso Albelo. Gran voce, potente ben modulata, espressiva, tutta di fibra anche nei sovracuti: il tenore spagnolo non si è risparmiato in quella che lui stesso ha poi definito dietro le quinte "una gran fatica" ma in cui ha tenuto il passo con la primadonna la cui perizia gli ha consentito di amalgamare le voci in un mix di rara efficacia. Trovarsi accanto una benedizione in gonnella piovuta dal cielo gli ha spalancato gli orizzonti più rosei di aggancio e supporto vocale e scenico.

Ma non ci si fermi nelle lodi ai due protagonisti: il Riccardo del giovane baritono coreano Julian Kim ha lasciato a bocca aperta per capacità di emissione, legato, potenza e morbidezza vocale, in un interprete che pare fatto apposta anche per i ruoli verdiani. In Bellini ha portato il proprio bellissimo colore, la misura scenica e la compostezza tipiche della sua natura orientale, unite alla capacità di estensione che la parte richiede e ad una proiezione di tutto rispetto. Il tutto potenzialmente lo colloca tra le voci baritonali più promettenti sulle scene internazionali.

Al suo fianco l'onesta e capace voce da basso di Nicola Ulivieri, Giorgio Walton, che è andato crescendo in corso d'opera e che soprattutto nelle scene consacrate alla sua vocalità ha dato prova di emissione morbida e corposa, nonché di ottima "interconnessione" con i colleghi nei duetti e nei concertati.

Sorprendente l'Enrichetta di Anna Pennisi, dalla dizione chiara e dalla bella corposità vocale, corretti il Bruno di Antonello Ceron e il Gualtiero Walton di Roberto Lorenzi.

Coro del teatro, diretto da Piero Monti, che ha dato il massimo, ma a cui il polso del "dittatore" della serata, il M° concertatore e direttore Jader Bignamini non ha concesso requie. L'inflessibile Maestro ha dettato tempi adeguati, con qualche impennata e qualche indugio al primo atto, che ci stavano ma che tenevano sulla corda gli interpreti. Duttile e ben governata, l'ottima orchestra del Massimo ha eseguito col fiato sospeso le dinamiche sottolineate e delineate volute dal direttore, che ha cesellato la direzione governando una nave vincente e rivendicandone l'assoluto timone. I risultati complessivi sono stati di grande limpidezza e correttezza: con un cast del genere il Maestro si poteva permettere slanci e suddette impennate, recepiti e messi in atto anche sul palcoscenico, con effetto di rimando dotato di lucida brillantezza sonora.

L'insieme (che non è poco!) era "contenuto" nella collaudata produzione di Pier'Alli, regista e autore anche di scene e costumi, con la regia ripresa da Alberto Cavallotti, che nella sua corretta definizione delle atmosfere, grazie anche alle luci di Bruno Ciulli, ha conferito quel quid che ha completato la riuscita complessiva. Senza voli pindarici, con un sipario aperto che si poteva evitare all'introduzione strumentale, la regia è stata funzionale ed accurata, in una produzione indovinata e suggestiva.

Su tutti, ne siamo certi, aleggiava sorridente lo spirito dell'autore, che era venuto a Palermo, in trasferta da Catania, precedendo un vero drappello di concittadini melomani a cui mancava solo lo striscione con sù scritto "Viva Bellini" e che occhieggiavano da ogni angolo del teatro, cerberi inossidabili, guardiani filologici e critici autorevoli di ciò che sentono profondamente proprio e che sostengono e difendono fino allo stremo. Sono usciti (anzi..."siamo") usciti soddisfatti dal teatro: termometro inequivocabile di una serata di grazia che da anni non faceva rivivere a così alti livelli l'immortale musica belliniana.

Natalia Di Bartolo

Ultima modifica il Sabato, 21 Aprile 2018 11:26

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