“Die Soldaten” al Teatro Real di Madrid

Madrid, Teatro Real, Temporada 2017-2018
“DIE SOLDATEN”
Opera in quattro atti tratta dall’omonima commedia di J. M. R. Lenz
Libretto e musica di Bernd Alois Zimmermann
Wesener PAVEL DANILUK
Marie SUSANNE ELMARK
Charlotte JULIA RILEY
Madre di Wesener HANNA SCHWARZ
Stolzius LEIGH MELROSE
Madre di Stolzius IRIS VERMILLON
Conte von Spanheim REINHARD MAYR
Desportes MARTIN KOCH
Pirzel NICKY SPENCE
Eisenhardt GERMÁN OLVERA
Haudy RAFAEL FINGERLOS
Mary WOLFGANG NEWERLA
Tre giovani ufficiali FRANCISCO VAS, GERARDO LÓPEZ, ALBERT CASALS
Contessa de la Roche NOËMI NADELMANN
Il giovane conte de la Roche ANTONIO LOZANO
Madame Roux BEATE VOLLACK
Maggiordomo della contessa WOLFRAM SCHNEIDER-LASTIN
Primo capitano / giovane alfiere BENJAMIN MATHIS
Secondo capitano PABLO GARCÍA-LÓPEZ
Terzo capitano MANUEL RODRÍGUEZ
Un ufficiale ubriaco ÁNGEL FERNÁNDEZ LARA
Un soldato torturato CHRISTOPH UHLEMANN
Orquesta y Coro Titulares del Teatro Real
Direttore Pablo Heras-Casado
Maestro ripetitore Vladimir Junyent
Maestro del Coro Andrés Máspero
Regia Calixto Bieito
Scene Rebecca Ringst
Costumi Ingo Krügler
Luci Franck Evin
Videoproiezioni Sarah Derendinger
Coreografia Beate Vollack
Drammaturgia Beate Breidenbach
Nuova produzione del Teatro Real de Madrid, in origine realizzata per la Opernhaus Zürich e la Komische Oper Berlin
Madrid, 3 giugno 2018

Quando Bernd Alois Zimmermann decise di porre in musica l’opera teatrale di Jakob Michael Reinhold Lenz pubblicata quasi duecento anni prima, ne conservò il titolo collettivo, per sottolineare come la vicenda centrale non fosse esclusivamente quella di una fanciulla traviata e reificata dalla società, insomma una vittima individuale del suo tempo. “I soldati siamo noi” è il motto riassuntivo che accompagna anche il nuovo allestimento del Teatro Real di Madrid, in cui ogni personaggio è veicolo di male, violenza, inganno, e riflette il carattere spietato della società contemporanea. Ancor prima dell’analisi musicale, però, s’impone la necessità di una considerazione complessiva sullo spettacolo, affidato alla regia di Calixto Bieito. Centrarsi sull’ostentazione della violenza e delle manifestazioni sessuali quali principali fattori della rappresentazione sarebbe decisamente ipocrita. La tipologia scenica cui il regista ricorre, infatti, non ha assolutamente nulla di straordinario, in termini propriamente registici: è una rassegna di tutte quelle grandi o piccole manifestazioni di violenza, arroganza, volgarità che quotidianamente sono sotto gli occhi di tutti nelle strade di qualunque città. Il recensore non deve neppure cadere nella trappola voyeuristica di classificare tutte le trovate di Bieito finalizzate a “stupire la borghesia” benpensante … Sarà molto più opportuno riflettere sui due principî basilari dello spettacolo, che quasi soggiogano ogni aspetto dell’esecuzione musicale: l’illimitata fiducia nella tecnologia e la riduzione del testo a pura mimesi del quotidiano; detto in una sola espressione, la trasformazione della letteratura in pornografia.
Così si presenta la struttura spaziale elaborata dal regista. Prima di tutto, la fossa orchestrale è coperta e diventa il principale luogo dell’azione; gli strumentisti si trovano disposti su sette differenti livelli di una complicata impalcatura che occupa tutta la parte alta dello scenario; il direttore opera a circa tre metri dal livello del palcoscenico, non può vedere i cantanti e si limita a interagire con gli orchestrali. Al centro della prima fila di poltrone della platea, in corrispondenza del podio direttoriale, è la postazione di un maestro ripetitore che, grazie a un piccolo televisore a circuito chiuso, duplica i gesti del direttore per aiutare cantanti e coro. Alle pareti laterali della sala sono appesi grandi schermi che riproducono tutto quanto filmato da una web-cam in mano ai personaggi oppure proiettano sequenze registrate. Lo spettatore, dunque, si trova di fronte tre comparti visivi: la gigantesca orchestra su più livelli (che di fatto va inclusa tra gli elementi dello spettacolo: direttore e strumentisti vestono la divisa militare), l’azione dei personaggi sul palco e le videoproiezioni ai lati. Non sapremmo dire se tanta complessità fosse necessaria a mettere in scena Die Soldaten (non lo fu di certo nel raffinato allestimento di Halvis Hermanis per Salisburgo, ripreso anche alla Scala nel gennaio 2015); certo è che spesso l’interazione tra i musicisti risulta squilibrata o, peggio, viene meno: l’idea di un maestro che ripeta il gesto direttoriale è un povero tentativo di equilibrare lo spaventoso dominio della tecnologia, fallimentare ai fini della concertazione, dato che convoca un’altra competenza, ossia una differente proposta di lettura ritmica e agogica rispetto a quella del direttore dell’orchestra (fortunatamente la compagnia vocale è formata da professionisti tanto validi da superare anche questa difficoltà). È abbastanza deprimente che il teatro si riduca a riproduzione della volgarità quotidiana, ovviamente esasperata in chiave grottesca; ma è contraddittorio che poi senta la necessità di ogni artificio tecnologico possibile per completare il proprio messaggio: amplificazioni, videoproiezioni, movimenti di personaggi, figuranti e coro su montacarichi che si alzano e abbassano incessantemente. Si può tentare una spiegazione? La tecnica mimetica di Bieito si rivolge a una commistione di vita sociale pubblica e privata: sul palcoscenico è riprodotta l’azione dello spazio delle relazioni (quanto avviene nella caserma, nelle locande, nella casa borghese di Marie), mentre gli schermi riproducono le registrazioni private eseguite dagli stessi personaggi, secondo quell’abitudine oggi tanto praticata di filmare ogni momento intimo della propria esistenza, da appuntare poi alla trama delle reti sociali. Al centro, insomma, riemerge sempre la mostruosità individuale che nessuno confesserebbe a parole, ma che la pura dimensione visiva riduce a divertimento apparentemente innocuo. In realtà, non c’è proprio nulla di innocente, giacché ciascuna delle scene del libretto si trasforma in un quadro distopico; Bieito frammenta la vicenda di Marie in una successione di scene quasi irrelate tra loro, optando per un teatro marcatamente “di situazioni”, disinteressato allo sviluppo narrativo e soprattutto alla musica, che persegue invece un sistema molto coeso di stili e di linguaggi differenti. Il pubblico di Madrid reagisce positivamente nelle varie repliche: applaude, forse con qualche esitazione, al termine del II atto, in occasione dell’unico intervallo, ma dimostra pieno apprezzamento per tutti gli interpreti alla fine dell’esecuzione. Anche il giudizio critico potrebbe essere pienamente positivo, se non fosse che i contenuti e le forme musicali restano decisamente in secondo piano; ed è paradossale, poiché l’orchestra, con la sua presenza fisica, costituisce l’elemento onnipresente alla vista dello spettatore.
A questo proposito, la straordinaria complessità musicale dell’opera è certamente indagata e rilevata da Pablo Heras-Casado con professionalità e attenzione costante alla qualità del suono, agli intarsi stilistici, al gioco delle citazioni e delle contaminazioni. La mancata interazione con i cantanti, tuttavia, riduce e snatura il ruolo del direttore, il cui gesto finisce per essere molto ripetitivo; il suo replicante a livello del palcoscenico, Vladimir Junyent, si limita praticamente a dare gli attacchi a cantanti e coro. All’interno dell’ottima compagnia vocale è straordinaria Susanne Elmark nel ruolo di Marie: il soprano di coloratura di origini danesi risolve correttamente tutte le difficoltà della parte vocale, e in più dà corpo a una adolescente maliziosa ed esuberante, che si presta con espressività e sofferenza a ogni tipo di degradazione nel corso dei quattro atti. Va espresso un encomio alla direzione artistica del Teatro Real, per avere ingaggiato due cantanti prestigiose nei ruoli materni: Hanna Schwarz interpreta la madre di Wesener, il padre di Marie, mentre Iris Vermillon quella di Stolzius, il primo ingenuo fidanzato di Marie. Entrambe impreziosiscono l’esecuzione con una gemma di vocalità compiuta, fortunatamente valorizzata anche sul piano scenico. Molto buono il Desportes del tenore tedesco Martin Koch, anch’egli impegnato in colorature, vocalizzi e puntature sopracute: si disimpegna bene anche quando ricorre al falsetto. Un po’ meno convincenti l’emissione fissa e forzata del basso ucraino Pavel Daniluk, nel ruolo di Wesener, e la linea di canto tendente al grido della zurighese Noëmi Nadelmann, nelle vesti della Contessa de la Roche. Molto professionali gli altri cantanti, impegnati nei numerosi ruoli minori, così come tutti gli integranti del Coro del Teatro Real.
Sarebbe inutile ricercare la coerenza teatrale nel complesso di idee espresse dallo spettacolo di Bieito; forse l’unico gesto di violenza vera, non virtuale ma concreta, distruttiva (e al tempo stesso assurda) accompagna le battute finali della partitura, allorché una equivoca figurante demolisce a colpi di mazza gli stucchi dei palchi di proscenio, prima a destra poi a sinistra, mentre l’orchestra enuncia una marcia militare degna dell’accompagnamento dei condannati a morte al patibolo. Lo spettatore potrebbe domandarsi se non è forse il teatro l’unico luogo utile a rappresentare e presentificare la tragedia della crudeltà e della sofferenza? Perché sfruttarne le risorse per poi scegliere di distruggerlo? A meno che il regista (o meglio: questo regista) non voglia preconizzare l’imminente dissoluzione del teatro, sostituito per lo più da video amatoriali di dubbio gusto sui social networks o dai canali di internet …   Foto Javier del Real © Teatro Real