L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Come una bambola dai capelli rossi

 di Irina Sorokina

Intelligente ed emozionante l'allestimento di Johannes Erath per l'opera di Berthold Goldschmidt ispirata alle fosche vicende di Beatrice Cenci. Forte anche di un cast convincente, la rarità s'impone come uno spettacolo indimenticabile per il Bregenzer Festspiele.

Bregenz, 22 luglio 2018 - Il Bregenzer Festspiele non delude mai. La gestione di David Pountney è sicuramente viva nella memoria degli amanti del festival lacustre, e con l’arrivo nel 2015 del nuovo sovrintendente, Elisabeth Sobotka, è nata la tradizione di presentare al Festspielhaus una rarità o comunque un titolo che non si vede spesso. In tre anni si è potuto assistere a Les Contes d’Hoffmann di Offenbach (2015), Amleto di Franco Faccio (2016), Mosè in Egitto di Rossini (2017) ed ora a una vera rarità, Beatrice Cenci di Bertholdt Goldsmidt.

Agli appassionati della Roma papalina, delle sue storie crudeli e dei suoi tesori artistici è ben nota la vicenda di Beatrice Cenci, una nobildonna che subì angherie e violenze da parte del padre, il conte Francesco Cenci, tristemente famoso per il suo stile di vita dissoluto e litigioso. I curiosi si aggirano attorno al suo palazzo romano nelle vicinanze del Ghetto e i più tenaci possono visitare la rocca a Petrella Salto, un paesino nell’attuale rietino, all’epoca nel Regno di Napoli, dove avvenne uno dei più clamorosi delitti del Cinquecento. Il 9 settembre del 1598 tra le mura della rocca i congiurati - tra cui la figlia del conte Cenci Beatrice, il figlio Giacomo, la moglie Lucrezia, il castellano Olimpio Calvetti ed il maniscalco Marzio da Fioran detto il Catalano - organizzarono l’omicidio del tiranno cercando di farlo passare per un incidente. La faccenda troppo sospetta fece scattare le indagini che finirono con la prigionia dei congiurati e col supplizio di Beatrice, Lucrezia e Giacomo. Si sostenne che alla decapitazione delle due donne furono presenti i pittori Caravaggio, Gentileschi e la figlia dell’ultimo, la giovanissima Artemisia.

Una vicenda simile non poté non suscitare l’interesse degli scrittori; Stendhal la raccontò nelle sue Cronache italiane, e Percy Bysshy Shelley le dedicò una tragedia. Sembrava fatta per essere musicata, la storia della coraggiosa Beatrice, eppure non suscitò l’interesse dei compositori, finché nel 1951 Berthold Goldschmidt, compositore tedesco di origini ebraiche naturalizzato britannico, non presentò il suo lavoro su libretto di Martin Esslin in lingua inglese, basato sulla tragedia di Schelley, al Festival of Britain e lo vinse. Ciò nonostante, la partitura, tutt’altro che di facile ascolto, dovette attendere più di quarant’anni per essere messa in scena, a Magdeburg nel 1994. L’anno in corso la vede sul palcoscenico del maestoso Festspielhaus a Bregenz.

Al festival lacustre, Beatrice Cenci è uno spettacolo di grande impatto visivo, che non corrisponde a una veduta tradizionale e idealistica della Roma rinascimentale, ma disegna un ambiente decisamente dark, torbido, corrotto, lussurioso e splendente. La forma del cerchio gioca un ruolo importante nel concetto scenografico di Katrin Connan; può essere interpretata come il sole nella fase d’eclissi, la luna nel cielo nuvoloso, ma anche come una prigione sotterranea, dove sono gettate Beatrice e Lucrezia sotto accusa. Può anche alludere a un circolo vizioso, al legame della chiesa cattolica col Dio denaro che si realizza anche nella presenza continua sul palcoscenico dei lunghi tavoli di vetro con  casse stracolme di monete d’oro. Suggestive le luci di Bernd Purkrabek che aggiungono i dettagli inquietanti agli ambienti creati dalla scenografa.

Il regista Johannes Erath compie un lavoro di cesello creando una serie di tableau vivant da ammirare per la loro bellezza e la vivacità, ma che presto smettono di essere dei quadri grotteschi ispirati dalle orge e i segreti della Roma rinascimentale. La prima accecante visione che apre lo spettacolo, un alto prelato che prega girato di schiena al pubblico, butta lo spettatore in mezzo al clima di ipocrisia e corruzione; sotto il tavolo stracolmo delle candele ardenti, si vede l’oro, le montagne d’oro che il dissoluto Francesco Cenci sborsa per coprire i propri crimini.

Il tavolo assume dei vari significati nel concetto del regista;  imbandito per i succulenti banchetti in casa Cenci con la vivace partecipazione del clero; come  scrigno stracolmo di denaro; come palcoscenico delle esibizioni oscene del conte che si crede onnipotente ed impunito; come passerella di bellissimi giovani nudi simili al David di Michelangelo. Tutto si muove, gira, luccica, grida, nega ogni ragione. In quest’ambiente soffocante e disperato vive Beatrice, la cui giovinezza e innocenza vengono sottolineate dalla presenza di una bambola da cui non si separa mai; una Beatrice bambina, racchiusa in un abito che impedisce la libertà dei movimenti, appesantita dalla capigliatura immensa color rosso acceso che vagamente somiglia a quella della cortigiana ritratta da Carpaccio. Una vita simile non può durare in eterno, non può finire bene. Alla fine il tavolo si trasforma nel patibolo dove saliranno due donne, ma non vedremo le loro teste mozzate. Lucrezia cadrà supina, rivelando le gambe con le calze e le giarrettiere, Beatrice cesserà di vivere appoggiando la testa sul mobile simile ad un inginocchiatoio. Sembreranno due bambole rotte dalle mani incoscienti di un bambino.

Una cosa sottile e spiritosa, trovare i paralleli tra la Tosca pucciniana e la Beatrice di Goldschmidt: due opere di ambientazione romana, due donne coraggiose che si ribellarono contro i loro carnefici e li uccisero. Erath introduce le immagini della piazza San Pietro proiettate e la musica delle campane di Tosca nel suo spettacolo, facendola ascoltare dal cardinale Camillo tramite il grammofono. Introduce anche l’immagine di David di Michelangelo, collegata al passaggio dei boys dai corpi scolpiti sul tavolo-passerella.

Di una strabiliante bellezza e una ricca invenzione sono i costumi di Katharina Tasch ispirati dalla moda del tardo Rinascimento, dai colori accesi e i dettagli originali, una vera festa per gli occhi.

Nel cast dominano Christoph Pohl e Gal James, rispettivamente padre e figlia Cenci. Due prestazioni artistiche importanti: lui, capace di mantenere l’eleganza anche in una totale brutalità; lei, credibilissima nel mischiare la fragilità, la fierezza e la fermezza dell’uccidere il padre. Due prestazioni vocali importanti, considerando l’impervia scrittura di Goldshmidt; Pohl riesce comunque mantenere una linea di canto armoniosa, mentre la James oscilla tra un declamato quasi isterico e una sorta di belcanto nell’unico espressivo assolo.

Molto efficiente il resto del cast, tra cui spicca vocalmente Michael Laurenz nella parte di Orsino, un tenore dal timbro gradevole e dal modo di cantare coinvolgente e brillante. Importante il contributo di Dshamilja Kaiser, Lucrezia, che riesce a trasmettere il tormento infinito della sua eroina con un canto altamente drammatico, di Per Bach Nissen, un cardinale Camillo falso e corrotto, dalla linea del canto variegata e prudente, di Christina Bock, toccante nel ruolo en travesti del giovane Bernardo.

Sono adatti ai ruoli a loro assegnati e molto credibili tutti i comprimari, Wolfgang Stefan Schwaiger – Marzio, Sèbastien Soulés – Olimpio, un giudice - Peter Marsh, Colonna – Lukaš Hynek-Krämer, un ufficiale – Jan Bochnak.

Superlativo il Prager Philarmonischer Chor diretto da Lukaš Vasilek, presenza fissa al Bregenzer Festspiele, mentre la Wiener Symphoniker non sembra affatto perfetta nelle mani di Johannes Debus, non evita le sonorità poco bilanciate e spesso caotiche.

Una produzione importante, forse unica, un successo pieno e meritato. Beatrice Cenci al Bregenzer Festspiele-2018 non si dimenticherà.


 

 

 
 
 

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